Oggi Vi SeetyAmo ITRI – Provincia di Latina :
è un comune italiano della provincia di Latina nel Lazio.Posta a 170 m s.l.m., la cittadina sorge in una caratteristica vallata tra le falde occidentali dei monti Aurunci (passo di San Nicola), a circa 8 km dalla linea di costa. Si trova lungo il percorso della via Appia, tra Fondi (con la quale confina a ovest) e Formia (con la quale confina a est). Itri confina inoltre con Esperia a est, con Campodimele a nord e con Sperlonga e Gaeta a sud.
Monumenti e Luoghi d’interese-Itri
Architetture religiose
Convento di San Francesco
Il convento di San Francesco (1324) (uno dei primi nati nella diocesi di Gaeta[senza fonte]) con la chiesa di San Francesco furono fondati dal conte di Fondi Onorato I Caetani. Collocato nella parte bassa della città si trovava nelle immediate vicinanze della chiesa della Vergine Annunziata (datata 1363, ricostruita dopo i bombardamenti e oggi intitolata a Santa Maria Maggiore). Nell’edificio era presente un oratorio dedicato a San Giovanni Battista ed i confratelli vi avevano diritto di sepoltura. Sappiamo dallo statuto itrano, risalente al ‘400 che Onorato II Caetani, conte di Fondi vi dimorò per un certo periodo a partire dall’anno 1487. Secondo una visita pastorale del 1722[9], la chiesa era dotata di tre altari: altare maggiore con l’immagine del santo; due altari laterali, del Crocifisso e della Natività di Gesù Cristo. Sembra che sull’altare maggiore si trovasse il dipinto di Cristoforo Scacco Madonna in trono col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Battista, oggi al museo di Capodimonte. Quello che è rimasto della chiesa e del convento è stato trasformato in abitazioni civili e oggi resta soltanto un affresco conservato in un edificio nella centrale Piazza Incoronazione. Inoltre, dal convento di San Francesco provengono le due colonne dell’altare del Santuario della Madonna della Civita, così come il lavabo che si trova in sagrestia.
Monastero di San Martino
In origine fuori dall’abitato (presso San Martino in Pagnano), il monastero era stato abbandonato in conseguenza delle leggi di soppressione delle corporazioni religiose nel regno d’Italia, essendo venuto meno il numero legale delle monache. In realtà l’edificio, occupato dalle Suore del Preziosissimo Sangue, era in uno stato di decadimento. Successivamente il monastero benedettino di San Martino, fu ricostruito all’interno delle mura. Distrutto anch’esso dai bombardamenti del 1944, è stato quindi ricostruito.
San Michele Arcangelo
La chiesa di San Michele Arcangelo, nella parte alta, risale all’XI secolo ed è l’edificio sacro più antico di Itri. A tre navate, l’edificio è in stile arabo-normanno ed ha la caratteristica di avere il campanile quadrato, ornato da piatti in maiolica colorati, addossato alla chiesa, in corrispondenza dell’entrata principale, anziché posto di lato. Si articola in quattro piani, dal portale di accesso alla chiesa, a due bifore e una trifora, con coronamento a cuspide. Al suo interno si può ammirare un affresco del XV secolo raffigurante la “Vergine con il Bambino” e la statua lignea di San Michele Arcangelo, posta in una nicchia dell’altare maggiore.
Santa Maria di Loreto
In origine su una collina fuori dal paese, ma ormai raggiunta dall’espansione dell’abitato, si trova la chiesa di Santa Maria di Loreto, con annesso convento dei Cappuccini (dal 1574), da cui deriva il nome “Cappuccini” attribuito alla zona. Quando nel marzo del 1574 i Padri Cappuccini iniziarono ad utilizzare l’edificio, dapprima in proprietà, poi in enfiteusi (in seguito alla confisca dei beni della Chiesa), quest’ultimo si trovava in una posizione isolata. Il convento fu abitato dai Cappuccini fino al 1897 e nel 1910/1911, a seguito dell’epidemia di colera che imperversò ad Itri, fu adibito a lazzaretto. L’avvento dei Padri Passionisti è datato 30 marzo 1943, giorno in cui fu redatto e firmato un atto nel quale il comune d’Itri concedeva in donazione il Convento ai Passionisti. L’opera di ricostruzione voluta dal Senatore Pietro Fedele, sposato ad Itri con Donna Tecla De Fabritiis, iniziò nel novembre del 1941 e fu ultimata dopo il conflitto bellico. Nella chiesa di Santa Maria di Loreto è conservato, tra le altre opere, un dipinto di San Paolo della Croce (fondatore dei Passionisti), attribuito al pittore Sebastiano Conca (1676–1764).
Santa Maria Maggiore
Alla chiesa di S. Maria Maggiore già della SS. Annunziata si accede da un semplice ed ampio portico, di stile gotico, con tre archi ogivali e tre portali (che sono stati ricostruiti dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale), dei quali quello di mezzo, più grande, è anch’esso ogivale e risale al XIV secolo.
La tradizione locale dice che il portale vi fosse stato trasportato da San Francesco.
Le prime notizie, inerenti alla chiesa, risalgono al 26 marzo 1363, quando essa è ricordata nel testamento del conte di Fondi, Onorato I Caetani, che fece un lascito di 20 once. Di stile romanico-laziale, è decorata esternamente con fasce di pietra bianca alternate a laterizio, con dei cornicioni posti al termine di ogni piano. Nel 1600 la chiesa era a tre navate: quella centrale era coperta a tettoia, con l’altare maggiore ed il coro coperto a volta. In essa vi erano: l’organo, il pulpito, il fonte battesimale e il campanile con due campane. Agli inizi del XVIII secolo essa fu ampliata ed ebbe radicali restauri. La caratteristica principale del tempio era il soffitto a cassettoni, d’oro zecchino. Quest’ultimo fu successivamente rimosso per un crollo, avvenuto nel 1829, e la chiesa fu rifatta in muratura. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu distrutto dai bombardamenti del 1944, ad eccezione del campanile duecentesco (recentemente restaurato). Per evitarne la distruzione, vennero staccati alcuni affreschi ora conservati nella vicina chiesa di San Michele Arcangelo. A seguito della distruzione, la chiesa della SS. Annunziata (all’interno della quale si conserva un Busto argenteo della Madonna della Civita, proprietà del popolo di Itri che contribuì alla sua realizzazione con una questua) fu anche ridenominata chiesa di Santa Maria Maggiore.
Ad oggi, dunque, l’edificio denominato Santa Maria Maggiore si trova in Piazza Annunziata. L’interno della chiesa è a tre navate: nel lato destro vi è la cappella del Crocefisso con altare in marmo intarsiato, nel cui paliotto sono scolpite le Anime del Purgatorio, mentre sopra il Fastigio vi è raffigurata la Sacra Sindone. Quest’opera può riportarsi al XVIII secolo. Nella medesima cappella la volta è decorata a stucco, con alcuni angeli reggenti gli emblemi della Passione.
Alcuni sostengono che l’opera fu realizzata nel 1827, per volere del pontefice Leone XII, ma essa risale al secolo XVI o, al più tardi, al XVII secolo. Nell’altare della navata sinistra riposa il corpo di San Costanzo martire, i cui resti sono ricoperti da vesti ricamate. Una tela molto interessante, raffigurante la «Predica di San Tommaso d’Aquino davanti al Papa ed a un re» (forse Carlo I d’Angiò), era nella predella della cappella della navata sinistra.
Santuario della Madonna della Civita
Nel territorio di Itri si trova il santuario della Madonna della Civita in cui si venera un antichissimo quadro raffigurante una Madonna nera con Bambino denominata Madonna della Civita.
Architetture militari
Il Castello
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Il castello, possente fortezza medioevale, alta e maestosa, è collocato sulla parte più elevata della collina denominata Sant’Angelo. Esso si articola intorno ad una torre pentagonale con piccola cinta merlata (attribuita al duca di Gaeta Docibile I nell’882). Nel 950 il nipote di Docibile, Marino I, fece costruire una seconda torre quadrata più alta e maestosa della prima. In seguito, il castello fu oggetto di nuovi lavori, con la costruzione della parte abitativa, del torrione cilindrico e del cammino di ronda (1250) che li unisce.
Il torrione cilindrico è anche detto “Torre del coccodrillo”, in quanto secondo la leggenda in questa torre si trovava dell’acqua con uno di questi animali, al quale venivano dati in pasto i condannati a morte.
A questo complesso appartiene anche un fortilizio (la cavea) con tre piccole torrette cilindriche disposte ad un livello inferiore e visibili dall’entrata principale del castello: questa parte era adibita a luogo di ristoro per cavalli, servitù e gendarmi. Dalla cavea si può vedere, grazie ad un cancelletto, il ghetto ebraico (vico Giudea) dove si trovava anche una piccola sinagoga, ormai scomparsa.
La parte del castello destinata ad abitazione si sviluppa su due piani, ciascuno diviso in tre sale. Entrando, immediatamente a sinistra si presentano tre sale e, dalla seconda, si può accedere, grazie ad una scalinata, al piano inferiore. Questo piano è costituito da tre vasti spazi destinati ad uso domestico, come lasciano supporre i resti del forno e della vasca utilizzata per conservare il cibo, ancora visibili nella stanza sulla sinistra. Si può anche osservare l’antica cisterna dove erano raccolte le acque piovane. Al secondo piano è possibile vedere i resti di quello che era un camino ed un affresco rappresentante Sant’Antonio abate e Madonna lattante con il Bambino. In questo punto, infatti, fu fatta costruire dalla famiglia Caetani una cappella privata che fa pensare che la sala antistante fosse una camera da letto. Secondo alcune leggende, sarebbe possibile sentire dei fantasmi lamentarsi nelle notti di temporale e, soprattutto, veder fluttuare dei mantelli lungo il cammino di ronda che collega il castello alla “Torre del Coccodrillo”. Salendo l’ultima rampa di scale della torre quadrata si accede a un’ampia terrazza da cui è possibile godere un vasto panorama.
Il castello ospitò anche Giulia Gonzaga, contessa di Fondi e donna famosa per aver accolto nella sua dimora artisti e letterati dell’epoca quali Vittoria Colonna, Marcantonio Flaminio, Vittore Soranzo, Francesco Maria Molza, Francesco Berni, il pittore Sebastiano del Piombo – che le fece il ritratto – Pier Paolo Vergerio, Pietro Carnesecchi, Juan de Valdés.
Danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, è stato acquistato dalla provincia di Latina nel 1979 per un prezzo simbolico dal dottor Francesco Saverio Ialongo e poi ceduto al comune d’Itri. Una volta restaurato, il castello avrebbe dovuto ospitare il “Museo del brigantaggio”. Durante i lavori di restauro, in seguito ad una richiesta di fondi dalla Comunità Europea, il sindaco e la giunta itrana hanno ritenuto opportuna la collocazione del suddetto museo in una diversa zona del paese, località Madonna delle Grazie.
L’inaugurazione della prima parte restaurata del castello è avvenuta il 4 giugno 2003, il 14 settembre 2007 è stato aperto l’intero complesso.
Siti archeologici
Forte di Sant’Andrea e resti della Via Appia Antica – Il Tempio di Apollo
In direzione di Fondi, nella gola di Sant’Andrea, è stato rimesso in luce e valorizzato un tratto dell’antico percorso della via Appia Antica. Qui, sui ruderi di una villa romana di età repubblicana (I secolo a.C.), sorgeva un forte che fu utilizzato da fra’ Diavolo nella difesa contro i Francesi nel 1798. Nella valle di Sant’Andrea si trova uno dei tratti più suggestivi e meglio conservati dell’Antica Appia lungo la via Francigena del sud. Lungo i 3 km di percorso, ai lati della strada romana era presente una sorta di marciapiedi, tuttora visibile in alcuni tratti. Il lato a valle dell’itinerario era terrazzato con imponenti mura costruite a opera poligonale e lungo la strada si possono ancora osservare ciò che rimane delle costruzioni di difesa dai briganti e dei posti di blocco borbonici. All’incirca a metà del percorso la via è dominata dal forte di Sant’Andrea, edificato sui resti di un antico tempio dedicato ad Apollo e di cui sono a oggi visibili le cisterne a volta all’interno dei terrazzamenti. La costruzione dell’edificio rispose all’esigenza di fortificare il passo, situato in una posizione strategica e delicata, in coincidenza con l’ingresso nel Regno di Napoli. Nell’area si svolsero diverse battaglie, una fra più celebri riguardò lo scontro nel 1799, quando frà Diavolo impedì la penetrazione delle truppe napoleoniche nel Napoletano. In età tardoantica sui ruderi del tempio fu edificata una cappella votata a Sant’Andrea Apostolo, da cui prende il nome il forte e la valle. L’eccellente stato di conservazione di questo tratto dell’antico percorso romano, rende quest’area un vero e proprio museo a cielo aperto della tecnica stradale romana.